La mozzarella di bufala, quel capolavoro morbido e candido che sgorga dalle mani dei casari campani, è una meraviglia che ha conquistato il pianeta. Ogni anno, circa 75.000 tonnellate di questo formaggio speciale lasciano l’Italia, dirette verso tavole lontane che ne apprezzano il gusto unico e la consistenza vellutata.
Gli Stati Uniti sono i più grandi appassionati: a Seattle, la vedono sciogliersi su pizze d’autore nei ristoranti di tendenza; a Houston, la gustano con un filo d’olio e qualche foglia di rucola, un omaggio alla semplicità che vince. La Germania la accoglie con entusiasmo, usandola per dare un tocco mediterraneo ai suoi piatti robusti, mentre il Regno Unito la trasforma in un capriccio per le cene eleganti. Ma la sua fama non si ferma all’Occidente: in Arabia Saudita, diventa un lusso da servire agli ospiti d’onore; in Australia, accompagna insalate estive sotto il sole cocente.
Produrla è un’arte che richiede tempo e dedizione. Le bufale, bestie imponenti e pazienti, pascolano nelle campagne umide della Campania, nutrendosi di erba fresca che dà al latte quel sapore inconfondibile. Ogni giorno, quel latte denso viene raccolto e portato nei caseifici, dove mani esperte lo scaldano, lo coagulano e lo modellano in sfere perfette, spesso ancora tiepide quando arrivano sulle tavole. È un processo che non ammette scorciatoie: ogni passaggio, dalla mungitura alla filatura, è un rituale che si ripete da generazioni. Questo lavoro non è solo tradizione; è economia, è vita.
L’esportazione della mozzarella bufalina muove milioni di euro, sostiene intere comunità, fa girare un’industria che è il cuore pulsante del Sud Italia.
Dall’estero, però, torna poco. Qualche produttore in Turchia o in Canada tenta di replicarla, spedendo versioni che vogliono imitarne la forma, ma il risultato è deludente: un formaggio che manca di anima, che non sa di pascoli campani. Qui da noi, la mozzarella autentica, quella con il sigillo della tradizione, non ha rivali; gli italiani la scelgono senza esitazione, snobbando le copie straniere. Ma c’è un problema che cresce silenzioso. Chi la farà tra dieci, vent’anni? I giovani non vogliono più svegliarsi all’alba per badare agli animali, non sognano di passare ore a impastare latte bollente.
Gli allevamenti si svuotano, i maestri casari invecchiano, e i loro figli cercano altrove il loro futuro. Senza un ricambio, senza un piano che riporti i ragazzi a questo mestiere magari con formazione gratuita e incentivi la delizia bufalina rischia di diventare un lusso per pochi, un’eredità che sfuma. Pensate a un’Italia costretta a importare mozzarella da chissà dove: sarebbe un’umiliazione, un tradimento di ciò che siamo. Bisogna agire, proteggere questo dono, perché perderlo significherebbe perdere un pezzo della nostra storia.