Nell’ultimo anno e mezzo, forse, abbiamo dimenticato che il “lavoro” è un nostro DIRITTO ed occupa una posizione di rilievo nella Costituzione italiana.
L’ articolo 1 della Costituzione recita: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro e che la repubblica riconosce a TUTTI i cittadini il diritto al lavoro”.
Nell’ultimo periodo, la ristorazione senza alcun’ombra di dubbio è stata la più colpita, la poco ascoltata e anche l’ambito che ha dovuto pagare la somma più cara.
A parole, solo all’apparenza (che sia ben chiaro) sembra che la politica si interessi dei settori messi in crisi come quello della ristorazione, ma non alle decine di migliaia di famiglie costrette alla povertà, a come risolvere realmente il loro problema. I ristoratori non possono più accontentarsi solo di ridicole mancette e di tamponi non organici.
Un settore che ha dovuto adattarsi, organizzarsi (si pensi alla questione del plexiglass e della distanza tra i tavoli) causando così, come se non mancasse, ulteriori spese di tasca propria. Un comparto preso in giro dall’inizio su cui ci si è inventati la qualunque; come se il virus potesse raggiungere solo i ristoranti e non tutti gli altri esercizi commerciali rimasti aperti. Un virus che appare come per magia solo dopo una certa ora, si direbbe che addirittura abbia una preferenza per la fascia serale. Eh già, perché l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ha dichiarato lo stato di pandemia ma in realtà è stata dichiarata solo la probabilità di alcuni focolai pandemici. Inoltre, il coprifuoco può essere introdotto solo in caso di stato di guerra e non per fattori naturali. Ne evince che lo stato di pandemia, ad oggi, è ancora da dichiarare; perché esso non può essere dichiarato in riferimento ad uno stato sanitario.
I locali sono stati “obbligati” (per il momento) a riaprire solo all’aperto. Sappiamo, però, che la mascherina non è obbligatoria neanche al chiuso per i clienti e che è sufficiente la distanza interpersonale. Questo perché, in realtà, non vi è stata mai dichiarata l’obbligatorietà dei dispositivi di protezione e per dispositivo non si intende solamente la mascherina ma anche una semplice visiera, molto più salutare e igienica. A questo punto la domanda sorge spontanea: “Perché non hanno consigliato gli altri dispositivi di protezione, come, appunto, la visiera?”. Semplice. Per continuare a lucrare sulla situazione. Siamo noi a non interessarci e a non far valere i nostri diritti.
Il dpcm è anticostituzionale e di fatto hanno ragione i ristoratori a non pagare le multe; in quanto se esso non viene convertito in legge entro 60 giorni vi è la perdita dell’efficacia del testo. Sembra che nessun dpcm, finora, sia mai stato convertito in legge ed inoltre violano il diritto al lavoro
e alla libertà personale; rispettivamente nell’art 4 e art 13 della nostra Costituzione. Il rischio è che la politica del terrore che in tv e su altri media continua ad attuarsi, non porti più da nessuna parte e turbi gli animi di chi non ha più di che vivere. Le multe vengono effettuate per il solo terrorismo psicologico e il fatto sconvolgente è che le autorità sono al corrente della verità ma non hanno il coraggio di opporsi ai comandi dei superiori. Le persone si fanno spaventare da chi indossa una divisa e per evitare di informarsi e fare mille battaglie, lasciano perdere. Le autorità sono un punto nevralgico, perché sanno che il cittadino ha paura della divisa e per loro rappresentano uno scudo; non a caso ci sono stati degli aumenti ai salari delle forze dell’ordine.
Dopo tanta beffa, dovrebbero essere proprio le aziende come i fornitori di ristorazione ad introdurre un vero e proprio servizio di informazione, perché i piccoli imprenditori non possono per questioni economiche. Se dall’inizio avessero fornito un servizio di informazione, la ristorazione italiana non avrebbe mai chiuso.
Questa storia è diventata tutta una pantomima.
Su importanti documenti c’è il riferimento che la Commissione europea era a conoscenza del Coronavirus già nel 2019, nello specifico dal mese di ottobre. Si evince una data ufficiale: il 19 dicembre 2019, data di incontro tra politica e sanitari italiani con quelli cinesi. Il secondo incontro è avvenuto nel gennaio 2020, non a caso data in cui tutto è iniziato nel nostro paese. Nei vari documenti della OMS è riportato per filo e per segno tutto ciò che è stato messo in pratica in quest’ultimo anno. Sono state adottate delle specifiche strategie alla quale alcuni Stati del mondo hanno aderito, tra cui come ben sappiamo anche l’Italia. Viene riportato tutto in maniera dettagliata persino l’informazione televisiva; come ad esempio i messaggi da lanciare, gli spot, i numeri in sovraimpressione. Si leggono frasi del tipo: “Fai in modo che la mascherina sia una parte normale dello stare con le altre persone”.
Nell’ultimo periodo non si fa che parlare di “green pass” dai salotti televisivi fino ai quotidiani. Ma cos’è e perché le persone del settore ristorazione sono contrarie?
Il Green Pass è un certificato che testimonia l’avvenuta vaccinazione contro il covid-19, di tampone negativo o l’avvenuta guarigione dall’infezione. Con il “certificato verde” ci si potrà spostare anche tra le regioni arancioni e rosse. Il governo ne sta parlando tanto, insieme ai vari media come se fosse obbligatorio per tutti i cittadini. In realtà, così non è, perché se andiamo a fondo, vediamo che questo certificato porta con sé tanti aspetti negativi. Al Garante per la protezione dei dati personali non piace il “green pass; costui ritiene che non si siano valutati i rischi che l’implementazione della misura determina per le libertà e per i diritti degli interessati. E’ incompleto dal punto di vista della protezione dei dati; privo di una valutazione dei rischi
su larga scala per i diritti e le libertà personali. E’ in contrasto con quanto prevede il Regolamento europeo e non definisce con precisione le finalità dei dati sulla salute degli italiani. In conclusione, i ristoratori non sono d’accordo sull’efficacia del green pass e sembra che esso non sia per niente una soluzione.